Quello che Schooling riesce a fare è appannaggio soltanto dei grandi libri. Costringerti dentro il loro linguaggio, dentro la loro struttura, come di fronte a una nuova alfabetizzazione, a una prospettiva del tutto inedita eppure di colpo necessaria. Libri così ambiziosi da obbligarti a un’innegabile fatica, eppure – o per questo – così generosi nel restituirti un mondo: pieno e autentico e urgente.
Con il suo romanzo d’esordio, tra i libri più belli usciti in Italia nel 2007 (grazie all’intelligenza di un piccolo editore come Nutrimenti), l’americana poco più che trentenne Heather McGowan trova idealmente posto accanto ad autori come Faulkner, Bernhard, Lobo Antunes: accanto ad autori che alla letteratura affidano tutto, che della letteratura si fidano del tutto.
La storia è esile: dopo la morte della madre, la tredicenne Catrine lascia gli Stati Uniti per andare a studiare nel collegio inglese di Monstead, che il padre aveva a sua volta frequentato. L’ambiente della scuola è strambo e soprattutto ostile: tra compagne che appiccano fuoco, compagni che “annusano colla” e professori che deridono il suo accento sbagliato, Catrine, intrappolata nella propria condizione di straniera e custode di un segreto che risale alla vita nel Maine, trova amicizia soltanto in Gilbert, professore di chimica e pittore amatoriale. Con lui, apparentemente emarginato come lei, instaura un rapporto via via più intenso e confuso. Finché Gilbert non diventa la sua “anomalia”.
Heather McGowan non ha paura di mescolare dentro il suo corposo romanzo stili e tecniche diversi: flussi di coscienza, dialoghi e monologhi difficili da attribuire in una polifonia di voci narranti, pièces teatrali. Tanto che i più dorrichiani d’oltreoceano hanno storto il naso, interrogandosi sull’esigenza di una così radicale sperimentazione dopo Joyce. Mentre gli altri, quelli capaci di godere della letteratura senza erigere paletti, l’hanno paragonata a Virginia Woolf e a Joyce stesso. Del resto, il sì pronunciato da Catrine nel monologo finale – “Sì sei tu il mio cento per cento” – non è forse un omaggio al famoso “sì” di Molly Bloom?
Paragoni a parte, Schooling è un romanzo stratificato, traboccante, eccessivo. Presuntuoso come ogni atto di fede non può che essere. È un romanzo sull’esilio, sulla morte, sul dolore e sulla colpa, sulla condanna inevitabile a deludersi degli esseri umani e nello stesso tempo sul loro tentativo maldestro e costante di proteggersi a vicenda. Imbevuto del fascino che i quadri di Balthus esercitano sull’autrice, lodato da Lethem e Moody, considerato alla sua apparizione nel 2001 come il miglior romanzo dell’anno da “Newsweek” e altre testate americane, Schooling si immerge nella mente di una ragazzina che elabora un grave lutto in un paese straniero. Permalosa, affatto docile, inaccessibile, Catrine non fa che mettere in scena la sua vita e quella degli altri per provare a distaccarsene. E a causa di Gilbert, o grazie a lui, capirà che “piangere non è una vergogna”.
Rosella Postorino, Satisfiction, febbraio 2008